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I recenti interventi in materia di parità di genere – terza parte

La certificazione aziendale come sistema premiante

di Matilde Tariciotti

I. Cos’è la certificazione ed a cosa serve

La legge 162/2021 ha introdotto l’art. 46 bis del Codice delle pari opportunità che prevede la c.d. certificazione sulla parità di genere, funzionale ad “attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”.
La certificazione, oltre a rafforzare l’immagine e la reputazione aziendale, è indispensabile per la competitività delle imprese. Ed infatti:

  • consente alle imprese di accedere a sgravi contributivi fino a 50mila euro;
  • assicura la possibilità di conseguire un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere;
  • permette un miglior posizionamento nelle graduatorie delle procedure per l’affidamento di contratti pubblici; è previsto che la certificazione di parità di genere sia un titolo al quale le amministrazioni devono accordare un punteggio premiante.

Le imprese che decidono di dotarsi della certificazione sono sostenute in questo processo con appositi incentivi di natura fiscale.
Per le piccole e medie imprese, il Dipartimento per le pari opportunità ha attivato misure di accompagnamento e sostegno in loro favore, laddove vogliano certificarsi. In particolare, il Dipartimento contribuirà a supportarle, mediante l’erogazione di un contributo massimo di euro 2.500 ad impresa per servizi di assistenza tecnica e di accompagnamento ed un contribuito massimo di euro 12.500 ad impresa a copertura dei costi di certificazione. Quest’ultimo contributo sarà erogato direttamente agli organismi di certificazione.

La richiesta della certificazione sarà agevolata fino a dicembre 2026 per le PMI e le micro-imprese; le piccole (da 10 a 49 addetti) e le micro-imprese (da 1 a 9 addetti) saranno inoltre monitorate solo rispetto ad alcuni obiettivi.


II. I requisiti per ottenere la certificazione

L’art. 46 bis ha affidato ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di stabilire:

a) i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte delle aziende con oltre 50 dipendenti e di quelle con quelle con numero di dipendenti inferiore a 50;

b) le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro e resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

c) le modalità di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta nel controllo e nella verifica del rispetto dei parametri di cui alla lettera a);

d) le forme di pubblicità della certificazione della parità di genere.


Con il DPCM del 29 aprile 2022, è stato quindi più in concreto, stabilito che parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese sono quelli di cui alla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, pubblicata il 16 marzo 2022, recante «Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni».

Si deve trattare, in termini generali di imprese dotate di adeguati strumenti attraverso i quali:

− porre l’attenzione e fissare precisi obiettivi per ogni fase lavorativa delle donne all’interno delle organizzazioni,
− misurare in modo chiaro e standardizzato i progressi realizzati,
− certificare i risultati raggiunti seguendo processi qualificati e trasparenti.

Per accedere alla certificazione, le imprese si devono quindi impegnare a recepire i principi di gender equality, articolati sull’intero percorso professionale e fasi di vita delle lavoratrici, dal momento del recruiting fino al pensionamento, con l’obiettivo non solo di aumentare la presenza femminile all’interno del contesto lavorativo ma anche di garantire pari opportunità di carriera, fino ai più importanti ruoli apicali, pari trattamento economico, condizioni di work-life balance adeguate alle diverse fasi di vita e proattive nel riequilibrio dei carichi familiari tra uomini e donne, nonché un ambiente di lavoro che rifiuti stereotipi, discriminazioni, ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale e proponga invece una cultura della diversità e dell’inclusione.

Il Certificatore dovrà verificare la prassi aziendale con riferimento a sei aree determinate: cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita e inclusione, equità remunerativa, tutela genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Per ciascuna area sono indicati degli specifici KPI (Key Performance Indicators), calibrati su quattro livelli dimensionali dell’impresa: micro imprese (da 1 a 9 addetti), piccole imprese (da 10 a 49 addetti), medie imprese da 50 a 249 addetti), grandi imprese (da 250 addetti e oltre).

La norma UNI/PDR 125:2022 chiede in ogni caso a tutte le organizzazioni, a prescindere dal livello dimensionale, di definire un piano d’azione e un sistema di gestione idonei a garantire nel tempo i KPI presupposti della certificazione.

L’ambizione espressa nella prassi di riferimento è peraltro quella che “consorzi, reti di impresa e general contractor che intendano adottare la presente UNI/PDR, definiscano una formula di selezione e qualifica, all’interno del processo di selezione dei propri consorziati/imprese/outsourcer che richieda agli stessi l’adozione della prassi di riferimento”.

L’obiettivo, cioè, è quello di indurre tutta la catena di fornitura, incluse le micro-imprese con numero di dipendenti da 1 a 9, a governare i temi della parità di genere.

Continua…

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