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Le donne e lo sport

Prime conquiste e importanti risultati in un mondo storicamente maschile, la storia straordinaria di Alfonsina Strada

Nel corso dei secoli, a partire dalle prime comunità – dai riti propiziatori alle danze tribali, fino ad arrivare ai giorni nostri e alle pratiche sportive più conosciute – lo spazio concesso alle donne nello sport è sempre stato minimo se non inesistente.

Le Olimpiadi greche, ad esempio, escludevano le donne, e anche quando Pierre de Coubertin ideò le Olimpiadi moderne pensò a competizioni solo maschili. Dobbiamo arrivare all’inizio del 1900 per trovare finalmente una legittimazione del ruolo femminile: siamo a Parigi, dove si svolgono le prime Olimpiadi a cui le donne hanno, finalmente, il diritto di partecipare, anche se in poche discipline. Sarà solo nel 1973 che le donne potranno correre la prima maratona.

La prima Carta europea dei diritti delle donne nello sport, proposta dalla UISP, è stata elaborata nel 1985 e trasformata nel 1987 dal Parlamento di Strasburgo nella ‘Risoluzione delle donne nello sport’; si è trattato del primo tentativo per il riconoscimento e la rivendicazione delle pari opportunità nello sport in ambito comunitario; essa è indirizzata a tutti gli operatori sportivi, organizzazioni, federazioni, tifoserie, autorità e istituzioni, per favorire la promozione dello sport per tutti ed in particolare per incentivare campagne a favore delle pari opportunità fra donne e uomini.

Si prefigge inoltre di superare tutte quelle barriere e quegli stereotipi che limitano la diffusione della pratica sportiva femminile, riconoscendo il diritto a tutte le donne di praticare qualsiasi disciplina, superando linguaggi e comportamenti sessisti che da molti decenni denigrano la figura femminile negli eventi sportivi di tutto il mondo.

La Carta per i diritti delle donne nello sport rappresenta oggi un protocollo indispensabile per favorire la pratica sportiva al femminile, non soltanto nel senso agonistico del termine ma anche, e soprattutto, come momento di aggregazione e inclusione tra ragazzi e ragazze, che contribuisce al miglioramento del benessere fisico e psichico delle persone.

Il 2 febbraio 2012 il Parlamento Europeo ha approvato la Risoluzione sulla dimensione Europea dello sport, nella parte relativa al Ruolo sociale dello sport e al tema delle pari opportunità. In Italia sono molti i Comuni virtuosi per le buone pratiche sportive, consapevoli delle potenzialità che le donne possono esprimere anche nel mondo dello sport, non soltanto in ambito prettamente agonistico o ludico-motorio, ma anche a livello di leadership con ruoli di dirigenza all’interno delle Istituzioni, Federazioni e Comitati sportivi.

Anche i dati statistici ci forniscono uno scenario significativo della situazione attuale: praticano un’attività sportiva in modo continuativo il 56,8% delle femmine di età compresa tra 11 e 14 anni contro il 65,9% dei maschi della stessa età. Con il passare del tempo il divario di genere aumenta. Tra i 15 e i 17 anni la quota scende al 42,6% tra le femmine e al 58,4% tra i maschi. A 18 anni si dedica con continuità a uno sport il 31,9% delle ragazze e il 47,4% dei ragazzi. Niente ‘quote rosa’ nemmeno nei ruoli apicali: dei 4.708.741 atleti tesserati alle diverse Federazioni sportive, le donne sono solo il 28%. Tra gli operatori sportivi sono ancora meno: il 19,8% degli allenatori, il 15,4% dei dirigenti di società e soltanto il 12,4% dei dirigenti di Federazione.

Eppure, nonostante i pochi spazi concessi loro, molte donne nella storia dello sport ci hanno fatto non solo emozionare, ma anche riflettere su corpi, diseguaglianze, stereotipi.

Tra le poche discipline che vengono aperte nel 1900 al sesso femminile c’è il tennis. L’inglese Charlotte Cooper vince la prima competizione femminile olimpica della storia di questo sport, conquistando anche il primo posto nel torneo di doppio misto con Reginald Doherty; nel 1895 aveva già vinto il primo di cinque titoli a Wimbledon. Donna di grande tenacia, è celebre anche per aver sfidato i canoni di genere dell’epoca in cui viveva e per aver conseguito grandi successi sportivi nonostante la partecipazione femminile al mondo dello sport fosse in quegli anni molto osteggiata.

La statunitense Margaret Abbot partecipa alle stesse olimpiadi e vince il torneo di golf, ma il golf non diventerà mai centrale nella sua vita perché all’epoca questo sport per le donne era concepito più come svago mondano che non come una disciplina vera e propria. Solo dopo la sua morte verrà indicata, nelle ricostruzioni storiche, come la prima vincitrice olimpica statunitense ed entrerà, quindi, tra le donne nella storia dello sport.

Donne tenaci che ce l’hanno fatta anche grazie al proprio “status sociale” ma quando la passione e la grande forza di volontà debbono anche combattere la povertà e gli stenti non possiamo non ricordare Alfonsina Strada. Alfonsina Morini Strada nasce il 16 marzo del 1891, in una notte in cui la luna stava a metà. Prende il cognome del marito Luigi Strada dopo il matrimonio, quasi come un segno del destino. Sarà proprio Luigi che la porterà via da Fossamarcia a soli quattordici anni per permetterle di inseguire il suo sogno in sella ad una bicicletta. Poverissima, vive una vita di stenti, in una famiglia numerosissima e con i cadaveri dei bambini, prelevati da sua madre dai brefotrofi, che non riescono a sopravvivere se non pochi mesi e che le fanno compagnia in forma di spiriti immaginari.

Quella di Alfonsina Strada è la storia di una donna tenace, caparbia, dolomitica. Una donna che ha dovuto combattere tutta la vita contro i pregiudizi, l’ignoranza, l’ottusità della gente che l’ha insultata, offesa, mortificata. Le stesse donne, invece che incitarla e ammirarla, la denigravano con parole offensive: matta, vacca, logia, donnaccia le dicevano. Ma lei sapeva di avere un miracolo nelle gambe e nel 1924 si imbarca nella più grande sfida della sua vita: correre il giro d’Italia con gli uomini. Unica donna ad affrontare questa impresa quando un’impresa del genere non era nemmeno immaginabile per una donna.

Pedalerà per 183 ore. Sessanta uomini si ritireranno, trentadue completeranno il percorso. Alfonsina Strada, percorrerà tutti i 3613 km della corsa più importante della sua vita che le varrà una gloria, sempre appannata dal pregiudizio. Muore il 13 settembre 1959 a Milano. Lo stesso giorno, il razzo cosmico Lunik, lanciato dai sovietici, impatterà sulla luna. Pure lei è arrivata sulla luna, solo con la sua tenacia e con la forza delle sue gambe, contro tutto e tutti, non ha mai smesso di inseguire il suo sogno in sella alla sua bicicletta.

E sulla luna vogliamo arrivare anche noi, con determinazione, con impegno, raggiungendo passo dopo passo i nostri traguardi nel nostro sport preferito: la vita di tutti i giorni.
In famiglia, sul posto di lavoro, nello sport, in ambito sociale, ovunque sia possibile dare il nostro contributo per rappresentare quanto la figura femminile sia preziosa e indispensabile.