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Perché il film di Paola Cortellesi parla più agli uomini che alle donne

Compagni, fratelli, padri, nonni: è a loro che la regista, si rivolge


di Luisa Garribba Rizzitelli


Del film di Paola Cortellesi stiamo scrivendo in tantissime e tantissimi. E già questo è un fatto. Sentire la voglia di condividere l’emozione che un‘opera cinemaografica ti regala, è già un indicatore di successo.

Io non ho nessuna competenza in materia di cinema e quindi non voglio improvvisarmi critica, anche se mi pare impossibile non citare la bravura di attrici e attori, la scenografia stupenda di Paola Comencini, le trovate geniali e l’ironia della neo-regista. Ma non vado oltre, giuro.

Quello che invece mi piace dire è che questo lavoro si associa a due verbi cari al femminismo: svelare e autodeterminarsi. Per me che lavoro da trent’anni per la comunicazione delle eroiche realtà antiviolenza, vedere il film è stato doloroso. Noi del settore sappiamo che ci sono ancora tantissime Delia. Ma ancora più disturbante, feroce, scorticante è stato vedere impersonificata la consapevolezza di quanti Ivano ci siano ancora oggi. Se sono circa 7 milioni di donne in Italia, secondo l’Istat, che subiscono una qualche forma di violenza, ci sono 7 milioni di uomini che questa violenza la agiscono. Ricordarselo attraverso l’interpretazione magistrale di Mastrandrea, fa male.

Ma non solo. Questo film ha qualcosa di rivoluzionario e pieno di speranza e non riguarda le donne. Ho avuto la netta sensazione che, per gli uomini in sala, ci sarebbe stato un “prima e un dopo C’è ancora domani”. Il film, puntuale nei gesti del sopruso, nelle parole ignobili, negli sguardi sprezzanti degli uomini in scena, nelle abitudini immobili, nel passaggio di testimone della violenza da padre in figlio, inchioda. La differenza, l’opera di Cortellesi la fa, non parlando alle donne come molti hanno detto, ma rivolgendosi ai compagni, ai fratelli, ai padri, ai nonni. È a loro che la regista, parla. Volenti o nolenti, non possono che specchiarsi nella sequenza di episodi impietosi: lo strapotere maschile viziato dai privilegi della cultura ancora patriarcale, le dinamiche dei maschi che si detestano ma sanno far branco, le grandi e piccole prevaricazioni fatte passare per “logica” e abitudini consolidate (come avere uno stipendio migliore, come avere del tempo per sé a discapito del tempo delle donne, pensare di avere un ruolo più importante solo in quanto maschi). Il “sesso forte” non ha scampo. Cortellesi gli sta mostrando non un tempo passato, ma lo specchio di ciò che c’è ancora oggi, adesso, stamattina quando esci e vai al lavoro. Non solo violenza quindi, ma tutta quella mancanza di rispetto e parità nella relazione con le donne che ancora non c’è.

E se il film riesce a svelare tutto questo, impone poi, proprio agli uomini, di decidere da che parte stare, determinando, la propria posizione rispetto alle lotte del femminismo. Non ci sono vie d’uscita: quando finisce il film, non puoi rimanere in mezzo e cincischiare, te lo devi chiedere se sei Ivano, se sei il nonno, se sei il fidanzatino che è dolce quando conviene poi rispolvera la prepotenza paterna, se sei i giocatori di carte con le mogli trattate da serve a casa. Te lo devi chiedere che uomo sei, che uomo vuoi essere e cosa vuoi sia tuo figlio. È questo il capolavoro di Paola.