Regolamentazione si, divieto no
In sostanza, i divieti non hanno raggiunto lo scopo prefissato, né in termini di contrasto alla ludopatia, né in termini di impatto economico. Anzi, in alcuni casi contribuiscono a indebolire la struttura legale, il che inevitabilmente lascia ampi margini al gioco illegale, con conseguenti, ulteriori rischi per il consumatore.
Meriterebbe una riflessione, al contrario, l’impegno che tutte le aziende dovrebbero assumere per farsi promotrici di un cambiamento nel modo di comunicare il prodotto, con una particolare attenzione al “tone of voice” e allo stile, che non deve essere troppo aggressivo.
Forse l’industria ha da recriminare e riconoscere un’occasione mancata soprattutto nella incapacità di autoregolamentarsi che in altri ambiti e giurisdizioni, come ad esempio in Inghilterra, è molto più forte. Abbiamo vissuto l’affollamento per categoria merceologica di spot prepartita e post-partita ma anche all’interno degli stadi. Questo ha indebolito notevolmente la percezione del cliente e ha provocato un appiattimento dell’efficacia del messaggio di comunicazione e di come esso è percepito da parte dell’opinione pubblica.
Del resto, non è solo il “racconto del mondo dei giochi” che viene proposto in modo così ambiguo l’unico problema, oppure l’unica anomalia, che lo fa contraddistinguere e percepire negativamente. Esistono situazioni altrettanto atipiche della percezione dell’illegalità nel gioco che sono quasi surreali: come, per esempio la frammentazione e la separazione dei vari segmenti che non ne valorizzano, di conseguenza, la serietà e la compattezza.
Questa caratteristica convince sempre di più a ritenere che se si vuole ottenere qualcosa per il mondo del gioco lecito, bisogna fare squadra per arrivare con una certa immediatezza ad una riforma condivisa. Unione che inviterebbe tutti a percepire che il gioco pubblico non ha tutte le caratteristiche negative descritte dai media negli ultimi 15 anni, anzi è una risorsa per l’occupazione e per l’economia del Paese. Una semplice questione di percezione del linguaggio e di come questo si pone nei confronti dell’opinione pubblica.
Dal lato delle Istituzioni, sarebbe opportuno, piuttosto che continuare con un proibizionismo che si è rivelato – non di certo per la prima volta nella storia – fallimentare, proporre un testo di legge che possa davvero regolamentare la pubblicità e che preveda dei sistemi sanzionatori efficaci.
Fine
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